XVI Congresso dell’ANPI Provinciale di Milano

ANPI_logo

 Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

Comitato Provinciale di Milano


Con i valori della Resistenza e della Costituzione, verso un futuro democratico e antifascista


XVI Congresso, sabato 9 e domenica 10 aprile 2016

Programma dei lavori

Gallery

Relazione introduttiva di Roberto Cenati

Sommario:
  1. Il valore della pace
  2. La difficile situazione internazionale
  3. Gli attentati jihadisti di Parigi e Bruxelles
  4. Lo stato islamico –Isis
  5. Lo scontro tra Iran e Arabia Saudita
  6. Guerra all’interno del mondo islamico
  7. Ruolo dell’intelligence europea
  8. Le alleanze internazionali
  9. Radicalizzazione dell’Islam e islamizzazione del radicalismo
  10. Virus nazionalista in Europa
  11. Nato e tensioni con la Russia
  12. Mondo multipolare
  13. Globalizzazione e sue conseguenze
  14. Unità politica dell’Europa nella pace e nella solidarietà
  15. Predominio dell’ideologia neoliberista
  16. Il dramma dei migranti
  17. Anpi: coscienza critica del Paese
  18. Crisi economica e quadro italiano
  19. Ruolo del sindacato
  20. Questione morale e rigenerazione della politica
  21. Intransigente difesa della Costituzione e dei suoi valori
  22. Superamento del bicameralismo perfetto
  23. Revisioni costituzionali e metodo adottato
  24. Abolizione sostanziale del Senato
  25. Indebolimento del potere legislativo
  26. Voto a data certa e decretazione d’urgenza
  27. Legge elettorale
  28. Divisione dei poteri
  29. Attuazione della Costituzione
  30. Battaglia referendaria
  31. Congressi di Sezione
  32. Attività dell’Anpi Provinciale di Milano
  33. Iniziative e manifestazioni nella ricorrenza del 70° della Liberazione
  34. Impegno antifascista a Milano e nei Comuni della Città metropolitana
  35. Realizzazione della Casa della Memoria
  36. Riqualificazione della Loggia dei Mercanti
  37. Il voto a Milano e in alcuni Comuni della Città metropolitana
  38. Problemi organizzativi
  39. Impegni e compiti dell’ANPI
  40. La sfida per un mondo migliore

Scarica l’intero documento

1. Il valore della pace

La guerra è – di per sé – il contrario dei diritti umani, perché ogni guerra, necessariamente, li calpesta, li mette in discussione e non di rado li annulla. Ma i diritti umani sono il fondamento della nostra esistenza e della nostra convivenza. Tra i nostri valori, nei primi posti, dobbiamo collocare davvero la pace, ispirando a questo obiettivo una parte saliente della nostra azione.
Occorre la pace. Dove questa perde il suo equilibrio e la sua efficienza i diritti dell’uomo diventano precari e compromessi; dove non vi è la pace il diritto perde il suo volto umano. Dalle tragedie della Prima e della Seconda Guerra Mondiale è nata la motivazione di fondo alla base della costruzione europea: il valore della pace, ribadito nel solenne giuramento dei sopravvissuti nel lager nazista di Mauthausen il 16 maggio 1945. E la pace è stata il primo obiettivo della Comunità europea, già con la costituzione nel 1951 della Comunità del Carbone e dell’Acciaio, la Ceca.
E della guerra, uno scrittore, Carlo Salsa, chiamato alle armi nel 1914 e inviato al fronte del Carso, nel suo libro Trincee, dà questa secca definizione: “La guerra non ci sarà più quando, amando il proprio paese, non si odierà quello degli altri, quando trenta milioni di combattenti penseranno che la guerra non deve sopravvivere.”

2. La difficile situazione internazionale

Dall’Iraq alla Siria, alla Libia, al Libano all’Egitto, alla Palestina: il Medio Oriente è una regione destabilizzata, attraversata da conflitti sempre più sanguinosi.
Sarebbe un grave errore, in un contesto come l’attuale, inviare migliaia di soldati in Libia solo perchè ce lo chiederebbe il Governo Serraj recentemente installato. Governo che non è affatto popolare dalle parti di Tripoli e di Tobruk. Una tale operazione, anziché debellarla, rischierebbe di rafforzare la presenza Isis che fa capo alla città di Sirte.

3. Gli attentati jihadisti di Parigi e Bruxelles

Siamo ancora in presenza, in Europa, a settantuno anni dalla liberazione di Auschwitz, di Mauthausen, dei lager nazisti, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale di pericolosissimi attacchi alla convivenza civile come quelli registrati a Parigi, nel gennaio e nel novembre del 2015, a Bruxelles nel marzo del 2016,con numerose vittime innocenti, che hanno colpito al cuore l’Europa, attentati stragisti che interessano anche numerosi Paesi mediorientali e del nord Africa. Un ulteriore gravissimo motivo di preoccupazione è costituito dalla caratterizzazione antisemita di queste azioni che a Parigi, nel gennaio 2015, hanno avuto come bersaglio un supermercato di prodotti ebraici e, a novembre, un ritrovo, il Bataclan, da tempo nel mirino dei terroristi perchè i proprietari sono ebrei. Tali aspetti sono da tenere in seria considerazione, alla luce dei sempre più frequenti rigurgiti antisemiti, delle intimidazioni e aggressioni che si verificano con preoccupante intensità nei paesi dell’est europeo e nella stessa Francia.

4. Lo Stato islamico – Isis

Un’analisi fredda dello Stato islamico, l’Is, presuppone di non fissare lo sguardo solo sulle modalità volutamente efferate delle sue azioni, peraltro non così straordinarie in quel contesto. Le decapitazioni pubbliche sono prassi corrente in Arabia Saudita, partner decisivo nel fronte antiterrorismo a guida americana. La novità principale attribuita al califfo Abu Bakr al-Bagdadi sta nel marchio senza confini dello Stato Islamico. L’Is pretende un territorio da governare, in continua espansione nel quale si applichino i precetti religiosi delle monarchie rigoriste sunnite, in particolare del purismo wahhabita. Un recente sondaggio attribuisce al 92% dei sauditi l’opinione che lo Stato islamico, Is, è conforme ai valori dell’Islam e della legge islamica. Si capisce dunque il terrore dell’Arabia Saudita che teme il ritorno del califfo, finanziato dalla stessa Arabia Saudita, purchè se ne stesse lontano dai suoi confini. Il marchio Is vuole agire sull’immaginario collettivo dei musulmani di tutto il mondo, inclusi gli insediati nelle terre dei cosiddetti infedeli: Europa, Russia e Stati Uniti.
Lo Stato islamico non combatte solo per proteggere ed espandere le sue conquiste siro-irachene, ma è capace di scatenare il panico nel cuore di metropoli europee, come avvenuto a Parigi e a Bruxelles. Le rivendicazioni califfali, con relative promesse di bombe a Washington, Londra e Roma, amplificano ulteriormente la minaccia. Nessun Paese occidentale o islamico può sentirsi dunque al sicuro.
Al di là delle efferatezze compiute, il successo dell’Is non si spiega senza considerarne la genesi politica. Lo Stato islamico si forgia nelle guerre del dopo 11 settembre in Afghanistan e in Iraq, per poi infilarsi nella mischia siriana. Insieme fruisce della crisi o della disgregazione di alcuni stati (Tunisia,Egitto, Libia, Siria, Yemen) indotte dalla primavera araba e dalla controrivoluzione a guida saudita.

5. Lo scontro tra Iran e Arabia Saudita

L’epicentro dello scontro è il Golfo. Persico per l’Iran, Arabico per l’Arabia Saudita. Teheran e Riyad, i grandi duellanti al centro della scacchiera. La centralità del Golfo deriva dal suo tesoro energetico e finanziario. Il baricentro geoenergetico del pianeta starà pure slittando verso le Americhe, l’Africa e l’Asia, ma i paesi del Golfo detengono ancora il 48% delle riserve globali di petrolio e il 43% di quelle di gas.
Nella lettura corrente la rivalità irano-saudita configura due schieramenti regionali. Alla sfera di Teheran sono attribuiti i regimi iracheno e siriano, lo hezbollah libanese, Hamas in campo palestinese. Nel campo saudita troviamo Kuwait e Bahrein, insieme agli Emirati Arabi e l’Omam. Con il Qatar formano il Consiglio per la Cooperazione del Golfo. Ad essi si aggiunge il nuovo Egitto del generale Al Sisi.

6. Guerra all’interno del mondo islamico

Nella complessa e preoccupante situazione internazionale, l’effetto più devastante è rappresentato dalla paura dell’Islam. E cioè dalla convinzione che la religione musulmana, forte di un miliardo e mezzo di fedeli, ci abbia dichiarato guerra. Mondo islamico contro occidente. Ma questa convinzione ha un difetto: non si fonda su dati di realtà. Il mondo islamico non esiste perchè dalla morte di Maometto in avanti i musulmani non hanno più una sola guida. Diversi mondi musulmani sono oggi in competizione quando non in guerra tra loro, assai più che contro di noi.
La guerra principale è all’interno del mondo islamico. Se la descriviamo come uno scontro di civiltà, facciamo il gioco degli integralisti. Invece è importante che lo schieramento contro il terrorismo sia il più ampio possibile e coinvolga un fronte molto ampio di Paesi islamici. Fondamentale poi è isolare i terroristi dalle migliaia di cittadini musulmani che vivono nelle nostre città e svolgono lavori che molto spesso gli italiani rifiutano.

7. Ruolo dell’intelligence europea

Occorre affinare gli strumenti di prevenzione e repressione, dotando intelligence e polizie occidentali dei mezzi materiali indispensabili a fare il proprio mestiere.
E’ più che mai necessaria la creazione di un’agenzia di intelligence dell’Unione europa, o comunque la realizzazione di uno stretto coordinamento delle agenzie nazionali. E invece, proprie le vicende di Parigi e di Bruxelles hanno dimostrato la scarsità del semplice scambio di dati fra due paesi geograficamente vicini come Belgio e Francia. Anche in questo caso si fa drammaticamente sentire l’assenza della unità politica dell’Europa. Se l’Europa fosse un unico stato sarebbe dotata di un unico sistema di intelligence.  

8. Le alleanze internazionali

Al di là di questa fondamentale problematica va fatta una considerazione di ordine geopolitico che parte dalla constatazione di un apparente paradosso. Nei conflitti africani e mediorientali noi ci siamo schierati con i regimi arabi sunniti che alimentano il jihadismo, a partire dall’Arabia Saudita. Siamo inoltre alleati della Turchia che combatte i curdi impegnati nella lotta contro l’Isis. Ci dedichiamo contemporaneamente allo scontro con la Russia, che a sua volta è in guerra permanente con i terroristi nel Caucaso, alcuni dei quali sono accorsi ad ingrossare le file dell’Isis.
Nel corso degli ultimi mesi il quadro internazionale è però in movimento. La sequenza che parte dalla graduale riabilitazione dell’Iran attraverso l’accordo con le maggiori potenze sul nucleare, all’intervento russo in Siria, alle stragi di Parigi e a Bruxelles, scompiglia lo scenario già caotico degli allineamenti nel contesto mediorientale. Così gli Stati Uniti rinunciano a prendere subito lo scalpo di al-Asad e dialogano tanto con gli iraniani quanto con i russi, sempre tenendosi, per quanto possibile, lontano dalla mischia. Persino la Francia riscopre russi e persiani quali nemici dell’Isis. E ai suoi vertici cominciano a circolare dubbi sull’affidabilità dell’Arabia Saudita di cui si scoprono le affinità ideologiche con lo Stato islamico e i finanziamenti alle casse del califfo.
Dobbiamo infine sfuggire all’ingranaggio della paura che ci attanaglia dopo gli attacchi jihadisti e a scambiare i migranti per orde nemiche che starebbero invadendo l’Italia, tra le cui pieghe si infiltrerebbero squadre di attentatori. Sul meccanismo della paura fa leva la Lega di Salvini, che individua, come è già avvenuto nel corso del Novecento, un nemico esterno su cui scaricare tutte le responsabilità e le frustrazioni. e alimenta spinte xenofobe e razziste nel nostro Paese.

9. Radicalizzazione dell’Islam e islamizzazione del radicalismo

I terroristi che fanno attentati in Europa, secondo alcuni, hanno una conoscenza superficiale del Corano e delle tradizioni islamiche. Gli attentatori coinvolti nei recenti attacchi a Parigi sono militanti francesi e belgi, dei quali alcuni di ritorno dalla Siria e dall’Iraq. Una massa di quasi duemila combattenti addestrati e temprati ad ogni ferocia. Non è l’Islam, secondo alcuni la ragione profonda che convince i ragazzi francesi o belgi a impugnare le armi per condurre la guerra santa. Loro avevano già deciso di contrapporsi al sistema dominante, alla società contemporanea. Il loro rifiuto dei valori, il nichilismo nasce al di là di qualsiasi motivazione religiosa, anzi, proprio in contrapposizione con l’Islam tradizionale delle generazioni che li hanno preceduti. Il sogno della rivoluzione proletaria è finito, l’unica causa radicale sul mercato delle idee, o almeno la più potente e seducente è lo jihadismo. In una formula, quello a cui stiamo assistendo non è soltanto la radicalizzazione dell’Islam, ma l’islamizzazione del radicalismo.