Un’analisi fredda dello Stato islamico, l’Is, presuppone di non fissare lo sguardo solo sulle modalità volutamente efferate delle sue azioni, peraltro non così straordinarie in quel contesto. Le decapitazioni pubbliche sono prassi corrente in Arabia Saudita, partner decisivo nel fronte antiterrorismo a guida americana. La novità principale attribuita al califfo Abu Bakr al-Bagdadi sta nel marchio senza confini dello Stato Islamico. L’Is pretende un territorio da governare, in continua espansione nel quale si applichino i precetti religiosi delle monarchie rigoriste sunnite, in particolare del purismo wahhabita. Un recente sondaggio attribuisce al 92% dei sauditi l’opinione che lo Stato islamico, Is, è conforme ai valori dell’Islam e della legge islamica. Si capisce dunque il terrore dell’Arabia Saudita che teme il ritorno del califfo, finanziato dalla stessa Arabia Saudita, purchè se ne stesse lontano dai suoi confini. Il marchio Is vuole agire sull’immaginario collettivo dei musulmani di tutto il mondo, inclusi gli insediati nelle terre dei cosiddetti infedeli: Europa, Russia e Stati Uniti.
Lo Stato islamico non combatte solo per proteggere ed espandere le sue conquiste siro-irachene, ma è capace di scatenare il panico nel cuore di metropoli europee, come avvenuto a Parigi e a Bruxelles. Le rivendicazioni califfali, con relative promesse di bombe a Washington, Londra e Roma, amplificano ulteriormente la minaccia. Nessun Paese occidentale o islamico può sentirsi dunque al sicuro.
Al di là delle efferatezze compiute, il successo dell’Is non si spiega senza considerarne la genesi politica. Lo Stato islamico si forgia nelle guerre del dopo 11 settembre in Afghanistan e in Iraq, per poi infilarsi nella mischia siriana. Insieme fruisce della crisi o della disgregazione di alcuni stati (Tunisia,Egitto, Libia, Siria, Yemen) indotte dalla primavera araba e dalla controrivoluzione a guida saudita.