La Costituzione repubblicana è l’eredità più preziosa trasmessaci dalla Resistenza. Piero Calamandrei definiva la Costituzione come Resistenza tradotta in formule giuridiche e la Resistenza è il fondamento storico dello Stato nel quale viviamo, della Repubblica, della democrazia in Italia. “Molti articoli della Costituzione – sottolineava Alessandro Galante Garrone – rivelano la preoccupazione, sentita dai Costituenti, di non ricadere negli errori e nelle vergogne del recente passato, di predisporre le acconce difese. Ma nella Costituzione appare anche la volontà, l’impegno di trasformare il presente, di camminare in una certa direzione. In un senso e nell’altro – come polemica contro il passato, e come impegno per l’avvenire – la Costituzione è nata dalla Resistenza. La quale, nelle sue ispirazioni più consapevoli, non si propose soltanto di abbattere un regime, ma ebbe di mira un nuovo Stato, una nuova società”. La Costituzione sta correndo un grave rischio. Lo si può dedurre dalle dichiarazioni molto chiare dell’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta che il 29 maggio 2013 sosteneva:
“Oggi dobbiamo dirci che abbiamo di fronte una grande opportunità: l’opportunità di iniziare un percorso che ci porti a cambiare la nostra Costituzione nelle parti che l’hanno resa oggi non adeguata allo spirito dei tempi e alla necessità di efficacia e rapidità nelle decisioni che il nostro sistema richiede.
Se abbiamo istituzioni che non riescono a decidere, il risultato è l’abbassamento del tasso di competitività del nostro sistema. Questo è uno degli elementi che ci sprona ad affrontare la questione con la massima urgenza”.
Anzichè parlare di attuazione della Costituzione si sostiene la tesi di una sua modernizzazione, per adeguare la nostra Carta alle necessità del mercato e della competitività. E’ questa una tesi non lontana da quanto si affermava in un recente documento della banca d’affari Morgan. Nel documento vengono espressi quelli che sono i sogni dei finanzieri: uno stato che funzioni come un’azienda: basta con la divisione dei poteri, basta con le protezioni del lavoro, basta con le Costituzioni antifasciste contaminate dalle idee socialiste. In un momento critico della storia recente il cancelliere Willy Brandt così disse, il 28 ottobre 1969: “Quel che vogliamo è osare più democrazia” e promise metodi di governo “più aperti ai bisogni di critica e informazione” espressi dalla società, “più discussioni in Parlamento” e una permanente “concertazione con i gruppi rappresentativi del popolo, in modo che ogni cittadino abbia la possibilità di contribuire attivamente alla riforma dello Stato e della società”. Non si muovono certamente in questa direzione la nuova legge elettorale e le revisioni della Costituzione portate avanti dall’attuale Governo.